Caro Stefano, Caro-figlio

Caro Stefano, Caro-figlio

Come sai venerdì e sabato scorsi sono salito sul Monte Olimpo a far visita ad Ozio, il dio del dolce far nulla.

Ho avuto pertanto tempo “ad libitum” da dedicare a qualsivoglia faccenda mi crogiolasse di fare, e siccome le chiacchierate che saltuariamente facciamo sono, per me e al netto degli orpelli che spesso provocatoriamente inserisco, significanti nella loro struttura, ho praticamente divorato in due giorni “Il passato è una terra straniera” (tra resettaggi cerebrali e purificazioni del corpo).

Intanto grazie per avermi segnalato e presentato Gianrico Carofiglio.

“Il passato è una terra straniera, le cose accadono in modo diverso da qua” lesse Giorgio durante una delle sue visite in libreria.

Questa frase, come si dice, “è bellissima e mi è piaciuta tantissimo”.

Ti propongo la mia interpretazione rimanendo dentro il contesto del romanzo e fingendo che Giorgio la rilegga alla fine della sua avventura:

“Il passato è un faccenda che non mi appartiene più, i fatti accaduti appartengono oramai ad un mondo che non è il mio presente e, per l’appunto, le faccende di quel mondo sono inspiegabili in questo, dove ora vivo.”

Ma questa bellissima frase può essere stralciata dal contesto del romanzo e, se convieni, applicata al nostro vissuto esperienziale (che appartiene a ciascuno di noi e che quindi avrà un ambito di significatività che non può superare i confini dell’esperienza singolarmente vissuta non potendo quindi attribuirle una accezione di generalità), e nel caso che mi riguarda ha il seguente significato:

“il passato, per l’irreversibilità della direzione del tempo, non tornerà più (in questo senso intendo: è una terra straniera) e l’esperienza vissuta, per l’unicità delle contingenze topologiche, temporali e sociali che hanno fatto vivere quel “momento storico”, non si ripeterà più (in questo senso intendo: le cose accadono in modo diverso da qua)”.

Ma, il punto da focalizzare, a parte la bellezza artistica e la pregnanza esperienziale-personale di questa bellissima frase, è se questa ha senso oppure non lo ha in un ambito intersoggettivo, cioè in quell’ambito che uscendo dalle nostre emozioni artistiche o della nostra esperienza personale, entra in un altro caratterizzato da verificabilità, sperimentale o statistica, le cui conclusioni possono essere condivise da una numerosa comunità di interpreti.

In questo nuovo contesto la frase non ha più senso in quanto il nostro passato ce lo portiamo appresso (quindi non può essere una terra straniera) e si riflette nei nostri comportamenti quotidiani. Vero è che ciascuno di noi “opera”, per cui allo stesso tempo subisce (molto) e modifica (in piccolissima parte) l’ambiente che frequenta. Stando così le cose ciascuno di noi può acquisire anche un nuovo repertorio comportamentale fintantoché gli stimoli ambientali sono diversi rispetto a quelli della sua storia passata o perchè si vive in un “mondo diverso” ovvero perché si è riusciti nel lungo periodo a modificare l’ambiente di riferimento, ed anche in questo caso, nei fatti, si vive in un “mondo diverso.

Infine per dirla tutta Giorgio può continuare a dire che “il passato è una terra straniera” sino a che non rientra più in quella terra, ma se ri-incontrasse Francesco allora il passato riemergerebbe nel presente, fatta salva una modifica dei rapporti di forza ambientali.

Enjoy yourself

 Claudio

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